Poche
persone volevano varcare la soglia di quel cancello. Nonostante sia
migliorata l'informazione , l'AIDS fa ancora paura, molti temono di
contagiarsi respirando la stessa aria o semplicemente toccando la
pelle o gli indumenti di chi per sua sfortuna ne è affetto.
Oltre
quel cancello vi era una casa famiglia per malati di AIDS in fase
conclamata, cioè quelli condannati a morte due volte, dalla malattia
e dalla società che non li vuole neanche vedere, gli appestati
della società moderna.
Senza
neanche riconoscergli più neanche la dignità di persone , sono solo
omosessuali, tossicodipendenti, prostitute che in fondo se la sono
cercata, senza neanche dare loro il beneficio del dubbio che alcuni
anni fa né la malattia né le modalità del contagio fossero
conosciute così bene come adesso per poter prendere le dovute
precauzioni ,pur volendo mantenere lo stesso stile di vita.
Solo
l'amore e la dedizione di alcune suore, di un ex-terrorista in regime
di semilibertà e di pochi ma tenaci volontari riuscivano a
prolungare la vita interiore e fisica di quei ragazzi (sì, proprio
ragazzi) che piano piano si stavano spegnendo lentamente come esili
candele.
La
loro giornata era scandita dalle visite in ospedale e dalle terapie.
Le fleboclisi rappresentavano l'aspetto più doloroso, vista la
difficoltà sempre maggiore di trovare vene idonee, quasi tutte erano
infatti trombizzate o infiammate, quindi inutilizzabili. E non sempre
la sofferenza fisica veniva accettata in silenzio e dignitosamente. A
volte, per alcuni sempre più spesso con l'avanzare della malattia,
crisi di rabbia e di disperazione erano un appuntamento fisso nella
giornata, seguite poi da un silenzio tombale.
In
questa atmosfera di morte colpiva l'atteggiamento sereno e affettuoso
di uno degli ospiti che si avvicinava e con dolcezza e triste
serenità consolava il disperato di turno. Eppure anche lui sapeva di
avere i giorni contati, ma aveva deciso di affrontare la sua fine con
una calma e una saggezza tipica delle persone anziane, a volte anche
con un sottile velo di ironia.
Eppure
la sua vita precedente non era stata certo tranquilla. Fin da
ragazzino si era reso conto della sua omosessualità, naturalmente
osteggiata dalla sua famiglia. Per tale motivo era fuggito di casa e
per vivere aveva incominciato a prostituirsi. La sua bellezza alla
David Bowie aveva fatto innamorare parecchi uomini di lui che gli
avevano regalato una bella vita, permettendogli di realizzare il suo
sogno di fare il costumista teatrale, lavoro per il quale era molto
stimato, ma anche quello di procurarsi facilmente eroina e cocaina
per sballarsi nei momenti di noia e di solitudine. Un giorno , nel
pieno della sua attività, una brutta polmonite lo fa finire in
ospedale dove gli comunicano la terribile diagnosi: AIDS in fase
conclamata.
Quando
raccontava la sua vita non c'era rimpianto né disperazione, era come
se stesse parlando di un'altra persona. Si trasformava durante il
periodo di carnevale, entusiasmandosi nel confezionare con le sue
mani esperte dei bellissimi costumi per tutti, ospiti e volontari,
persino le suore.
Aveva
una parola buona per chiunque e incantava gli stessi volontari con la
sua incredibile saggezza e ironia sulla vita , su sé stesso e la sua
malattia, tant'è che in molti lo cercavano per chiacchierare con lui
e persino confidargli i loro problemi di persone normali.
Quando
è morto, sereno persino negli ultimi momenti della sua esistenza,
tutti lo hanno pianto come un fratello, un grande amico, un esempio
per chiunque lo abbia conosciuto. Per loro lui non è stato affatto
solo un appestato.
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