Riposa in pace amore mio

giovedì 26 marzo 2015

Il commiato

Diversi sono i comportamenti possibili quando un malato si rende conto dell'ineluttabilità di una fine prossima.
Alcuni si disperano per i più svariati motivi: paura della morte (in realtà paura della sofferenza fisica in concomitanza del trapasso), dolore per il distacco dagli affetti di una vita, preoccupazione sul destino dei propri familiari specie se troppo giovani o non indipendenti economicamente.
Altri cercano di “godersi la vita “ il più possibile, magari ( se le possibilità economiche lo permettono) facendo un viaggio, l'ultimo con la persona amata o con la famiglia al completo. Altri ancora cercano di riallacciare legami affettivi precedentemente logorati.
Altri ancora preferiscono un progressivo isolamento, quasi una preparazione interiore al distacco definitivo dal mondo. Riordinano meticolosamente le loro cose, rievocando i ricordi di tutta una vita, predispongono tutto quanto possa servire anche successivamente alla loro dipartita.
Naturalmente ciò è possibile fin quando è preservata almeno per un poco la propria autonomia.
Nel caso di persone gravemente invalidate e molto sofferenti tutto ciò è impossibile, costretti ad un forzato allettamento e letteralmente a subire tutto e tutti passivamente. Curanti formali e frettolosi (non solo per esigenze lavorative ma anche incredibilmente per paura della morte), infermieri non sempre amorevoli, energici e sbrigativi, personale addetto alle pulizie (nosocomiali o, se esistenti ,domestici) a volte eccessivamente rigido e distaccato. Tutto ciò contribuisce ad aumentare nel povero moribondo, se ancora cosciente, la propria angoscia, il proprio senso di solitudine esistenziale di fronte alla morte, anche in presenza di parenti.
A proposito di parenti, anche in questo caso ne esistono diverse tipologie.
Vi sono quelli “presenti” nel vero senso del termine, coinvolti fin dall'inizio dalla malattia del loro congiunto, operosi, responsabili e amorevoli , disposti ad “accompagnare” fino alla fine soffocando la loro disperazione . Ma purtroppo sono sempre più rari.
Vi sono quelli presenti solo per salvare le apparenze, desiderosi in realtà di una rapida conclusione della “ loro” fatica assistenziale, che a volte mascherano il loro disinteresse affettivo nei confronti di chi muore con una ossessiva ricerca di eventuali carenze assistenziali per nascondere le proprie colpevoli carenze affettive.
Infine, triste a chi capita, vi sono i parenti completamente assenti, giudici inesorabili o colpevoli imperdonabili pure in punto di morte , a seconda delle eventuali faide familiari.
Non ci sono istruzioni per l'uso da offrire a chi muore. Certo, la saggezza e la cultura darebbero la consapevolezza che in realtà si inizia a morire fin dal primo giorno di vita: l'imperfettibilità del corpo umano sarebbe già da sola sufficiente a spiegare le malattie e la morte. La speranza della cessazione di qualsiasi sofferenza (fisica e morale) potrebbe infondere serenità a chi se ne stà andando, anche a chi è attaccato morbosamente alla vita e non ha alcun credo religioso. La disperazione (comprensibilissima) dei parenti rende paradossalmente più difficile e sofferto il trapasso -distacco , proprio perchè irreversibile.
E dopo la morte del congiunto non è permesso neanche concentrarsi sul ricordo della persona scomparsa. Troppe incombenze: vestizione, onoranze funebri, sepoltura con relative spese (sempre fin troppo onerose),il commiato di parenti e amici,risoluzione di eventuali problemi economici per la sopravivenza, tutte quante sviliscono il dolore, se presente, del distacco.
Solo dopo l'assolvimento di questi compiti il parente affezionato può riprendere coscientemente a soffrire e a rendersi veramente conto dell'assenza definitiva della persona amata. E l'elaborazione del lutto non è sempre facile, a volte è finanche impossibile per tutta la vita.


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